Questo studio è il primo del suo genere. Indaga sul c.d. effetto “faccia morta” nei cani (still face, fino ad ora sperimentato soltanto nei neonati, nda). Nemmeno a dirlo, i risultati sono molto simili. Ennesima prova che con i nostri cani è possibile instaurare un dialogo anche emotivo e non occorrono metodi severi e coercitivi. Ma procediamo con ordine.
Cos’è l’effetto “faccia morta”?
E’ un protocollo suddiviso in tre fasi che prevede un’interazione iniziale positiva con un neonato, dopodichè la madre del neonato o lo sperimentatore, smette di interagire attivamente ma resta fissa e immobile a guardare il piccolo con un’espressione neutra (appunto faccia morta), la prova si conclude nuovamente con un’interazione attiva della madre.
Nella seconda fase, quella della “faccia morta”, il piccolo mostra delle alterazioni fisiologiche (aumento della frequenza cardiaca, aumento di cortisolo e della conduttanza cutanea) e cambiamenti comportamentali (maggiore avversione allo sguardo, meno sorrisi, vocalizzi).
Questi stati d’animo negativi si affievoliscono durante l’ultima fase: il ricongiungimento attivo. Si affievoliscono, ma non cessano del tutto, non da subito per lo meno. Segno che le scorie emotive della seconda fase restano per un pò (questo effetto è definito carry-over, nda)
La “faccia morta” nei cani
L’esperimento ha coinvolto 23 Beagle che hanno sempre vissuto in rifugio e comunque in condizioni di cattività, suddivisi in due gruppi in relazione all’età. Esattamente da protocollo la pro va è stata suddivisa in tre fasi: interazione – “faccia morta” – riunione. Sono stati valutati questi elementi nei confronti dello sperimentatore:
- sguardo;
- prossimità;
- contatto fisico;
- comportamenti richiestivi;
- annusate;
- posizione della coda;
- segnali di stress come sbadiglio,vocalizzi, tremore, respirazione alterata, leccamento delle labbra.
Ecco i risultati:
La durata media dello sguardo è marcatamente diminuita nella fase II rispetto alla fase I e alla fase III. Inoltre era evidente una differenza tra la fase I e la fase III, considerando che la durata dello sguardo è stata maggiore nella fase I, a conferma del c.d. effetto carry-over.
E’ emersa anche una differenza dovuta all’età del campione: nella fase I i cani più giovani guardavano per più tempo lo sperimentatore a differenza dei cani più anziani. Nessuna differenza nelle altre due fasi.
Per quanto riguarda il contatto risultati simili: i cani hanno trascorso meno tempo in contatto dello sperimentatore nella fase II rispetto alle altri due fasi. Ma è emersa anche una curiosità: i cani giovani trascorrevano meno tempo in contatto nella fase II rispetto ai cani più anziani.
Per quanto riguarda l’annusare, questo comportamento è stato minore nella fase III rispetto alle altre due fasi
Dallo studio è emerso che i cani più anziani rimanevano vicino allo sperimentatore più a lungo nella fase II rispetto ai cani più giovani. Per i ricercatori questo comportamento potrebbe indicare una maggiore perseveranza delle risposte apprese anche in assenza di rinforzo.
Altro dato interessante è che ci si aspettava maggior frequenza dei comportamenti correlati allo stress (coda bassa, ansimare, vocalizzi, sbadigli, tremori, ecc), invece questi comportamenti avevano una frequenza molto bassa nella fase II.
Questo si spiegherebbe col fatto che i cani provenivano da condizioni di cattività, pertanto non avevano una robusta e varia stimolazione verso le persone. Quindi per loro la fase di interazione (fase I) poteva avere un costo emotivo più alto rispetto alla fase II, in cui non era prevista interazione.
In merito a questo, già da tempo, è emerso da diverse osservazioni che i cani costretti a vivere in canili o rifugi hanno una comunicazione diversa rispetto ai cani di casa (vedi video sotto)
Cosa ci dice questo studio?
Grazie ad una convivenza evolutiva cani e persone sono in grado di condividere aspetti comunicativi, emotivi, sociali più di quanto si possa immaginare. Esattamente come i bambini sono molto sensibili a come ci poniamo nei loro riguardi.
Un proprietario dovrebbe essere responsabile e consapevole, così da aiutare il proprio cane nei vari contesti sociali: dalla semplice passeggiata all’incontro con altri cani; dalla forte paura di uno stimolo sociale o ambientale alle reazioni eccessive, dall’abbaio alle marcature in casa…
Un comportamento nasce da stati emotivi, comprendendo e intercettando quei stati, possiamo permettere al cane di riequilibrare le proprie emozioni, in questo modo, gradualmente, i comportamenti indesiderati tenderanno a sparire. Una relazione è un percorso continuo.
Invece spesso ci si rivolge a loro con severità (quante volte usiamo severi “NO!” senza nemmeno essere consapevoli sulle motivazioni che spingono il cane a mostrare quel comportamento!?; Quante volte usiamo divieti, ammonimenti e punizioni, anzichè spiegare e aiutare a capire come adeguarsi nei vari contesti?!) e malgrado le nostre convinzioni, non sembriamo più forti e autoritari, ma inetti e patetici.